Articolo scritto e pubblicato l'8 ottobre 2024 all'interno del precedente blog.
“La liberazione della forma”
È a partire dagli anni ’50 del 900 che la poetica della forma entra a far parte dell’opera architettonica.
Grazie infatti a numerose scoperte in ambito costruttivo, legate all’uso del cemento armato e della precompressione, si attua in campo architettonico un vero e proprio cambio di paradigma, che sciocca i grandi architetti degli anni venti, la cui architettura era astratta, basata su morfemi senza significato, assembrati con logiche sintattiche “pure”.
Se prima infatti era la funzione a guidare la forma, adesso quest’ultima ha una sua autonomia: può evocare, usare riferimenti simbolici o metaforici.
Ricollegandoci alla lezione su Toffler e la terza Ondata, potremmo dire che è in questo periodo che “l’Io informazione” della terza era entra a far parte del mondo architettonico.
Tra i primi ad operare in questo ambito, che vede la forma svincolata dalla sua funzione, vi è Eero Saarinen, il quale con il suo TWA Terminal JFK, New York, 1956-62, ha dato vita ad un’opera, un progetto del tutto innovativo.
La struttura del terminal, con le sue curve audaci e forme organiche, non segue più rigidamente la logica funzionale dell’edificio ma punta a evocare l’emozione e l’esperienza di volare. Saarinen crea una sintesi tra l’aspetto simbolico e quello estetico, rompendo con il funzionalismo tradizionale e inaugurando una nuova era in cui l’architettura diventa espressiva e narrativa, al di là della sua utilità immediata.
Segnalo adesso alcuni passi del libro Architettura e Modernità di Antonino Saggio, collegati a questo argomento:
<<“Per ogni progetto un’idea” sembra il suo credo.
Eero Saarinen non opera attraverso uno stile riconoscibile, ma al contrario si muove per problemi-idea: tende “volta per volta”, occasione per occasione, a capire quale sia la sintesi più efficace per affrontare il tema e ogni volta ricomincia con coraggio una nuova strada. [….]
Un’opera chiave che fornisce la spiegazione più evidente del suo interesse verso la forza plastica e organica delle strutture. Il Terminal della TWA è di nuovo opposto allo spazio assoluto di Mies, teso alla ricerca di un’espressività primitiva, brutale e plastica e del tutto contingente delle forme.
[….] Il suo apporto è significativo per condurre alla vittoria un trentenne architetto danese che opera un cambiamento di direzione della ricerca architettonica la cui importanza sarà tipicamente comprensibile solo verso la fine del secolo […] Non solo la forma si libera nello spazio, ma la forma verrà palesemente svincolata dalla funzione. E una rottura eclatante dei paradigmi dell’architettura precedente che supera uno dei tabù del funzionalismo>>
“Il suo apporto è significativo per condurre alla vittoria un trentenne architetto danese che opera un
cambiamento di direzione”
Ricollegandoci a quanto sopracitato, andiamo ad introdurre il trentenne danese a cui si fa riferimento, Jørn Utzon, il geniale progettista noto per aver ideato l’iconica Opera House di Sydney.
A soli trent’anni, la sua visione architettonica portò un cambiamento rivoluzionario nel panorama dell’architettura moderna, spingendo i confini dell’estetica e della funzionalità.
Grazie a un approccio audace, caratterizzato da forme innovative e una sensibilità verso il contesto naturale, Utzon riuscì a tradurre le sfide tecniche in un’opera simbolica, ridefinendo il concetto di architettura come espressione artistica.
I gusci infatti, che Utzon progetta, sono un artificio formale ed espressivo; è un esempio di metafora in architettura, una cosa che fino ad ora non si era mai vista, poiché appunto la forma evocava semplicemente la funzione, nessun altro significato simbolico.
Sono varie le ragioni che ci fanno credere al perché proprio Utzon rappresenti il cambiamento nell’architettura e, riproponendo ancora alcuni passi del libro, cerchiamo di spiegarne meglio le ragioni.
<<Innanzitutto Utzon é un nordico. E nell’architettura nordica la presenza del monumento è linfa vitale: non astrazione illuminista del potere, ma celebrazione del matrimonio tra uomo e natura. […]
La seconda ragione è che in Urzon c’è un interesse verso le forme naturali del volo e del movimento, L’Opera House interpreta la tensione allo slancio dinamico attraverso la sperimentazione di nuove forme costruttive […]
La terza ragione è che Utzon è un architetto interessato all’uomo nelle sue diverse manifestazioni sociali, mai alla imposizione della propria griffe o all’esaltazione di un potere astratto da magnificare. Sa che opere diverse per scala e programma debbono avere risposte diverse. Per cui quando fa un gruppo di case è la celebrazione dell’individuo e delle sue diverse aggregazioni che esalta con un’architettura spontanea e popolare, ma quando deve fare la nuova sala di concerti di Sidney capisce che deve essere il simbolo di un continente e della sua gente. […]
Ma l’ultima e più importante caratteristica è che Utzon è un architetto della terza generazione [….] Per Utzon al mondo delle certezze ideologiche della generazione precedente si deve sostituire un metodo sperimentale e una ricerca eterogenea di suggestioni.
In Utzon queste suggestioni vanno da quelle di derivazione biomorfa, alle regole modulari del manuale cinese Yingzao Fashi, all’interesse per le costruzioni arcaiche, alle sperimentazioni tettoniche e genetiche. Un insieme quindi di fonti di ispirazione ampio, eterogeneo, antidogmatico!>>
L’approccio dell’architetto rappresenta una rottura radicale con la tradizione precedente.
Invece di aderire a rigide certezze ideologiche, Utzon propone un metodo sperimentale che si nutre di ispirazioni eterogenee.
L’architettura non è più limitata a regole fisse, ma diventa un campo aperto alla sperimentazione e alla ricerca creativa, rispecchiando l’evoluzione della società stessa.
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